[Isaura 1996]
Io mi vergognerei. Fossi in lei. Ma non si vergogna?
Stavo cercando una cosa nel cassetto delle camicette belle, quando ho trovato quella foto. Di quel tizio. È una foto vecchia, si vede, bianco e nero, e quel tizio era giovane lì. E vestito da militare. Ha un'aria famigliare. Questa foto non me la ricordo però, ce n'erano altre, le avevo viste tempo fa. Lei me le aveva mostrate con quell'espressione idiota sulla faccia, quasi gongolante, direi. Che odio.
Se lo sapesse pà! Pà che si sbatte tanto, ha lavorato una vita, come un mulo. L'ha sempre aiutata. Andava a comprare il pane, anche con me piccola, mi faceva giocare. Quando lavorava correva a casa per il pranzo, mi veniva a prendere a scuola, mangiava di fretta e tornava al lavoro. E poi tornava la sera stanco. E nonostante tutto, aiutava anche a fare i mestieri. E la spesa la faceva lui.
Lei è sempre stata la regina della casa. Ha sempre avuto un fascino strano. Gli uomini cadevano come mosche al suo passaggio.
È sempre stata bella. E ammaliante. Aveva questi capelli scuri, questi occhi scuri, questo sguardo accattivante e questi lineamenti dolci e perfetti.
Non come me. Io non ho mai capito se ero bella o no. A volte pensavo di esserlo, ma spesso ho avuto il dubbio di avere qualcosa che non andasse. Quando ero piccola ero bionda, come molti bambini. Un giorno i miei capelli hanno iniziato a scurirsi. E poi mi ricordo di quella volta in cui mi sono accorta di avere un naso con la gobbetta. Me ne sono accorta quasi all'improvviso. Non avevo più il mio bel nasino di bambola, ma quella fastidiosa gobbetta che lo curvava antipaticamente. Mi ricordo di aver sperato che la cosa fosse reversibile, ma non lo era. La mamma diceva che avevo preso quel naso da suo papà. Io i nonni non li ho mai visti. Sono morti prima che nascessi io. Mio nonno abitava qui accanto. La nonna era già morta, ma lui è rimasto ancora per un po', finché non è stato stroncato dall'ennesimo infarto. Aveva suonato il campanello dell'allarme, ma quando la mamma è corsa di là, lui se n'era già andato. Era il 1975. Io sono arrivata quattro anni dopo. E così dovevo ringraziare questo nonno sconosciuto per avermi lasciato questo bel naso storto. Saltava una generazione, a quanto pareva, perché mia mamma era così perfetta!
E comunque odio questa cosa, il fatto che lei conservi, nascosta nel cassetto, la foto di quel tizio greco.
Mi ricordo le loro voci. Ricordo, di quando ero piccola, questo suono esotico, che portava lontano. Le voci dei greci riempivano il pomeriggio, mentre io girellavo sul balcone di ringhiera. Dopo la morte del nonno, la zia, che aveva ereditato quelle due stanze, aveva deciso di affittare ai greci. Ce n'erano tanti nella nostra città, a fare l'università, in quegli anni. Una volta sono andata di là, ero molto piccola, e avevo visto la luce dentro quella scatola vetrosa. Loro mi guardavano e ridevano, le loro strane voci avevano quella cantilena di luoghi lontani. Io ero ipnotizzata dalla luce dietro il vetro. L'ho toccata con il dito e mi sono scottata. Era il forno.
Non tutti i greci erano antipatici. Si alternavano, negli anni. C'era Giorgio, che era tanto simpatico e mi aveva regalato due peluche, a forma di orso, uno più piccolo e uno più grande. Li avevamo chiamati Giorgino e Giorgetto, per ricordarmi di lui. Era un tipo affabile, con gli occhiali fumé e i baffi biondicci. Mi ricordo che mi voleva bene e mi faceva giocare.
Poi c'era Atanasio, che odiavo e adoravo al contempo. Quando ero piccola ero affascinata da tutti i maschi, esterni alla famiglia, più grandi di me. E quindi anche da lui. Studiava medicina e veniva spesso in casa nostra, per usare il telefono. Per mantenersi agli studi lavorava con Stavros a una ditta di bottoni. E mi portava sempre mille campionari. Avevo una collezione stupenda di bottoni eleganti, divisi per modello, di tutte le dimensioni possibili. Ci giocavo per ore. Ma Atanasio era proprio antipatico. Non era affatto bello, era allampanato e con un nasone e la faccia lunga e pochi capelli e gli occhiali. E mi prendeva sempre in giro. Mi chiamava "Ciocca!" e mi faceva i dispetti. A volte la mamma ci litigava furiosamente.
Prima di lui c'erano stati altri greci, di cui ricordavo solo il nome. Di uno avevo pure un vaghissimo ricordo perso al di là del tempo. Il primo, un tipo buono e gentile, si chiamava Christos, e ha sempre telefonato ai miei, per Natale e Pasqua. Ogni tanto capitava in Italia e tornava a trovarci. Non avevo memoria di lui, di quando era stato qui, da studente. Ma avevo imparato a conoscerlo quando tornava nella nostra città per salutarci. Era un distillato di grecità e prendeva la vita con molta filosofia. Mi piaceva la sua voce, mi piaceva il suo accento. Ed era una fonte di allegria e cordialità, gioia di vivere e altruismo.
L'altro invece si chiamava Kyros e aneddoti su di lui, raccontati da mia mamma, costellavano la mia infanzia. Era di lui che avevo un vaghissimo ricordo, era stato qui quando avevo meno di due anni. Veniva sempre nominato, da lei, quando non c'era mio papà. Le brillavano gli occhi e ben presto ho cominciato a odiarlo.
Dapprima credevo che fosse un amico dei miei, come gli altri.
Ricevevo regalini da lui e dalla sua famiglia. Mi arrivavano per posta.
Bambole, vestitini, piccoli gioielli. Una volta sua sorella mi ha mandato un diario, molto bello, da scrivere, con i disegni di una bambina e il lucchetto. Mi aveva scritto anche una dedica.
Quando ero piccola, mi ricordo che a volte ho parlato al telefono con lei, con questa signora tanto gentile che mi mandava dei regali. Una volta forse dovevamo anche incontrarci, in un'altra città, ma poi l'incontro è saltato e c'è stata una lite in casa, se non ricordo male.
Questi tizi greci si appoggiavano molto alla mia famiglia, perché erano qui, abbandonati a loro stessi, a studiare e a cavarsela come potevano. Erano gli anni settanta, e poi ottanta. Vivevano assiepati in piccole stanze, dove friggevano molto e preparavano lo yogurt bianco. Siccome non avevano neanche un telefono per comunicare con casa, ricevevano le telefonate dai miei, che gentilmente permettevano loro di usare il telefono per parlare con i loro genitori lontani. E in cambio, questi genitori, sapendo che qualcuno aiutava e badava ai loro figli in Italia, mandavano dei regali.
Una volta è venuta la mamma di Atanasio. Era una donna vecchia, molto vecchia, molto alta, tutta vestita di nero e con i capelli bianchi raccolti sulla nuca. Aveva un'espressione triste. Forse aveva visto dei brutti periodo della loro storia nazionale. Aveva le mani nodose e aveva portato anche lei dei ricordi e dei regali.
Mio papà non parlava mai di Kyros. Invece era amico degli altri. A volte guardavano la partita insieme, nel nostro salotto. E nell'intervallo tra il primo e il secondo tempo io cercavo di attirare l'attenzione di Atanasio, ma lui mi dava i pizzicotti e mi prendeva in giro.
Poi un giorno è andato via, per sempre. Non è tornato più perché ha finito gli studi ed è diventato medico.
La mamma ha fatto sparire la foto. Meglio.